Così scriveva un giornalista su un giornale italo – americano nel 1935:
Andare a Firenze e non vedere Ferdinando Cafiero è come andare a Roma e non vedere il Papa. Ma a Roma è il Papa che benedice voi, a Firenze siete voi che benedite Ferdinando Cafiero, uno dei collezionisti più dotti e geniali che vanti la città del Giglio… Un sacerdote del buon gusto che si è creato un dolce ostello in via Fattori con le migliaia di oggetti raccolti nella sua vita randagia, ricercatore insaziabile…
Un generoso dono a Barletta
Ma non è a Firenze che troverete la Collezione Cafiero. Ferdinando, infatti, la donò alla città natale nel 1936, nove anni prima di morire. Dovete dunque andare a Barletta e visitare il maestoso Castello che al momento (e fino al 22 gennaio 2017) ospita una piccola ma interessante mostra su Annibale, l’acerrimo nemico di Roma.
Nel percorso della Pinacoteca è compresa appunto la Collezione Cafiero. Ma chi era Ferdinando Cafiero? Nato nella città pugliese nel 1864, compì studi classici a Lucca, prima di arruolarsi volontario nella Legione Panellenica per la liberazione della Grecia, sconvolto dall’eccidio degli Armeni da parte dei Turchi.
Rientrato in Italia, si stabilì a Firenze dove in quarant’anni mise insieme una collezione di circa 8 mila pezzi: “Dal ferro al bronzo, al rame, all’ottone, all’argento, all’oro, dal legno al cristallo, alla terracotta, alla ceramica; dalla pittura alla scultura, alle stampe è la storia documentata dell’Artigianato italico dai tempi antichi all’età moderna”, per usare le parole con cui Michele Cassandro la descrisse nel 1952.
Amante del bello
Ferdinando lo vediamo in un ritratto del pittore fiorentino Raffaello Sorbi, datato 1914: ha i baffi a manubrio allora “d’ordinanza” e indossa l’uniforme sulla quale spicca la Medaglia d’Argento al Valor Militare ricevuta per il coraggio mostrato durante la campagna greca.
Suddiviso in piccole sezioni introdotte da pannelli didattici ben fatti, il percorso espositivo presenta una piccola selezione della ricca collezione Cafiero. Citazioni da un libro del 1910 invitano i visitatori a immergersi nell’atmosfera d’inizio Novecento. Si tratta del manuale di buone maniere intitolato “Eva regina. Il libro delle signore” di Jolanda, Marchesa Plattis Majocchi.
Eccone un assaggio dedicato alla tavola:
Il menu sarà sempre stampato nei grandi pranzi, manoscritto nei pranzi di minor impegno, ma sempre su un cartoncino grazioso dipinto a mano, e ornato in altra guisa. È gentile l’abitudine di disporre ad ogni posata un fiore che il convitato potrà portare con sé senza spogliare la tavola.
Pezzi che parlano
A una parete è appesa una piccola Testa in terracotta opera del grande Benvenuto Cellini e poco lontano sono esposte alcune tabacchiere del XIX secolo in legno, metallo e avorio. Ci sono poi bicchieri, calici e bottiglie in cristallo e piatti in ceramica colorata e vasi (come albarelli e idrie decorati a smalto blu), di manifatture regionali italiane, tra cui quella di Montelupo in Toscana, rappresentata da alcuni begli esemplari decorati con figure di cavalieri e fanti.
Interessanti anche i pezzi in argento, realizzati in Italia, Inghilterra e Russia. Sono soprattutto arredi per la tavola come piatti, vassoi, saliere, caffettiere e zuccheriere.
In una teca è esposto il libro degli ospiti della Casa – Museo di Firenze, con custodia in argento sbalzato e inciso. In un’altra teca, invece, vengono presentati alcuni bigliettini d’invito, come quello con cui il sindaco di Firenze, allora Pietro Torrigiani, invitava il padre di Ferdinando, Pietro, Deputato al Parlamento nazionale, alle feste per lo scoprimento della facciata di Santa Maria del Fiore e per il quinto centenario dalla nascita di Donatello.
Osservando i pezzi esposti nelle sale non si può che dare ragione a Cassandro quando scriveva che “Ferdinando Cafiero appartiene alla eletta schiera dei Collezionisti appassionati, che sanno scegliere con intuito sicuro, ed ogni pezzo delle loro raccolte ha un valore, grande o piccolo che sia, non importa, ha una parola da dire”.